Scrivere di casi positivi è assai complicato ma non impossibile. Ed io vorrei entrare proprio nelle pieghe di quelle cose improbabili e incredibili, positive e ambasciatrici di nuove speranze.
Se ne scrive sempre poco presi come siamo dalle tragedie quotidiane. Vicine o lontane non importa, tutte sono dentro lo schermo del televisore o dello smartphone tanto da avere in costanza nelle ventiquattrore una tragedia a portata di mano.
Tuttavia, sebbene poco visibile e a tratti non percepito, fuori dai telegiornali c’è un mondo fatto di belle persone che nel loro piccolo fanno cose importanti, per sé e per gli altri. Persone che non si lasciano avvincere dalle difficoltà, disposte ad investire molto in tempo, competenze, energie e risorse, per migliorare il proprio pezzetto di mondo.
Ne hanno parlato tutti i giornali nei giorni scorsi e la notizia circola nei media da qualche anno. È arrivata fisicamente anche negli studi di Rai3, lo scorso 9 dicembre, nella trasmissione Le Parole della settimana di Massimo Gramellini, che ha avuto ospite il chirurgo ortopedico Marco Dolfin, la sua carrozzina e Samanta, sua moglie.
La storia
La storia di Marco Dolfin è tragica e magica allo stesso tempo. Giovane chirurgo ortopedico di belle speranze, neo assunto in ospedale e neo sposo, in una brutta mattina del 2011 cade dalla moto con la quale si dirigeva al lavoro a causa di un incidente stradale. Riporta fratture multiple che lui stesso dettaglia ai colleghi che lo aspettano per essere supportati ma son costretti ad accoglierlo in Pronto Soccorso trasportato su una barella. Sembra la fine di tanti progetti di vita ma così non sarà. È l’inizio di un percorso durissimo di recupero, riabilitazione e coraggio.
Samanta, messi da parte i sogni radiosi di giovane sposa, fa della cura di Marco la sua ragione di vita, pur continuando a lavorare come infermiera. Durante i mesi trascorsi all’unità spinale a fare fisioterapia dopo una serie di interventi complicati, gli sposi alternano speranze e disillusioni ma, come dice Marco in un’intervista di qualche tempo fa, “a tempi alternati” perché è davvero dura recuperare una nuova quotidianità e conquistare altre consuetudini. “Vissuto dall’interno è un universo sconosciuto“.
Ma sono soltanto le gambe, dal bacino in giù a non essere più in grado di assolvere al loro mestiere. Gli arti superiori, le competenze, la professionalità e soprattutto la vivacità d’animo sono gli stessi di sempre. Quindi Marco decide di non rassegnarsi a recuperare soltanto una parte delle sue possibilità in ambito della chirurgia ortopedica, quelle cioè consentite dalla posizione da seduto. Vuole tornare ad operare adoperando la completezza delle proprie competenze quindi, insieme con Alessio Ariagno, amico e tecnico dell’Officina Ortopedica Maria Adelaide, progetta la carrozzina perfetta per le sue esigenze, in grado di sostenerlo nel tronco, in posizione eretta grazie con un sistema di cinghie, azionabile da un joystick che il dr.Dolfin comanda con il gomito, per non compromettere la sterilità dei guanti in sala operatoria. Sterile anche la carrozzina che, durante gli interventi, viene rivestita da panni sterili, e bilanciamento perfetto in posizione eretta, qualunque sia la tipologia di intervento in corso e qualunque “attrezzo” Marco Dolfin maneggi, dalla sega allo scalpello.
Tutto ciò è ormai una consuetudine nei corridoi dell’Ospedale San Giovanni Bosco a Torino ma così non fu all’inizio. Stupore e diffidenza fra i colleghi e fra i pazienti sono stati il secondo muro da abbattere dopo quello logistico del mezzo per consentire al chirurgo ortopedico Marco Dolfin di stare in piedi in sala operatoria. L’ausilio particolare della carrozzina verticalizzabile è ormai soltanto lo sfondo delle sue giornate, anche se costringe lui e Samanta a consuetudini casalinghe piuttosto impegnative. Ad esempio negli orari. Per essere operativo in ospedale alle 8 infatti, Marco e Samanta iniziano la loro giornata alle 5 del mattino.
Eppoi c’è lo sport
Marco Dolfin è anche un campione di nuoto plurimedagliato e si sta preparando per le prossime Paralimpiadi. Tenacia, determinazione e coraggio sono il nutrimento dei suoi numerosi successi, nella vita come nello sport. Nuotava in piscina sin da bambino ma soltanto dopo l’incidente ha fatto dell’acqua il suo vero elemento naturale, tanto che nel 2016 ha partecipato alle Paralimpiadi di Rio, posizionandosi al quarto posto.
Guarda l’intervista a Marco Dolfin su Ability Channel
Esoscheletri alla Rewalk Race
La storia di Marco Dolfin non è l’unica storia bella di persona che dopo un grave incidente sia tornata a recuperare appieno la propria vita e le esperienze sportive grazie ad ausili moderni e tecnologici come gli esoscheletri.
Lo scorso settembre infatti, a Brescia, si è svolta la Rewalk Race, una corsa cittadina lunga 1100 metri organizzata in occasione del trentennale della fondazione della Casa di Cura Domus Salutis. Accanto ai normodotati, per i quali il percorso era di 6 chilometri, correvano sul percorso ridotto nove atleti, con l’ausilio di un esoscheletro che permetteva loro di partecipare in posizione eretta.
«È un’emozione indescrivibile guardare di nuovo una persona alla stessa altezza e non più dal basso verso l’alto». Come spiega Luciano Bissolotti, fisiatra nella clinica di Brescia, Rewalk fa parte di quella categoria di esoscheletri robotizzati che permettono alle persone affette da una lesione midollare, ovvero prive della funzionalità motoria negli arti inferiori, di tornare a stare in piedi.
L’esoscheletro si attiva con un complesso sistema di sensori che dipendono dalla patologia della persona.
Ma non si tratta soltanto di carrozzine atte a sostenere il tronco a causa della perdita dell’uso delle gambe. Si tratta di esoscheletri anche per singoli arti, provenienti da ricerche molto avanzate in campo tecnologico e realizzate anche per applicazioni in ambito spaziale.
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